domenica 19 febbraio 2012

Che cosa intendiamo per lavoro di buona qualità?

Che cosa intendiamo per lavoro di buona qualità? Una risposta fa riferimento a come una cosa dovrebbe essere fatta, l’altra riguarda il fare in modo che una cosa comunque funzioni. È questa la differenza tra correttezza e funzionalità. In linea ideale, le due cose non dovrebbero essere in conflitto; ma nel mondo reale il conflitto c’è”.
Il brano, tratto da L’uomo artigiano di Richard Sennet (Feltrinelli 2008), individua molto bene la scelta che ogni giorno l’insegnante è chiamato a compiere tra i due possibili criteri guida per la sua azione professionale: la dimensione della correttezza oppure quella della funzionalità. Contemporaneamente manifesta anche un falso problema che nasce dal contrapporre i due lati della questione, come se un certo risultato per essere interessante dovesse prescindere dall’essere la risposta ad una particolare esigenza. E viceversa: adeguato ma non interessante. Crediamo appunto che la modalità con cui è posta questa alternativa esprima tanto una certa idea che l’insegnante ha del proprio lavoro, quanto una certa idea che la comunità intera ha del lavoro dell’insegnante.
Oggi l’identità lavorativa, per così dire, dell’insegnante deve essere ricostruita e il rapporto correttezza/funzionalità dell’azione professionale rappresenta un capitolo decisivo. Diciamo che deve essere ricostruita perché non vige una consapevolezza chiara e diffusa dei compiti dell’insegnante, per cui la mansione che di più viene evidenziata è quella che potremmo definire “giuridica” del docente, riconosciuto come tale per la sua veste esterna (il numero delle ore di insegnamento, la collegialità, le valutazioni prodotte) più che per gli effetti che ottiene (quanti alunni sono migliorati da come erano all’inizio del percorso? Che cosa hanno assimilato? Ciò che hanno appreso è importante per la loro vita?).
A proposito del binomio di cui si parlava all’inizio, e alla eventuale correlazione dei due termini del problema, proviamo a definire la buona qualità del lavoro a partire dai seguenti indicatori:
1) l’appartenenza del docente ad una comunità culturale o ad una rete di rapporti;
2) la capacità di distinguere criticamente l’oggetto e lo scopo dell’insegnamento;
3) l’evidenza pubblica dei risultati dello stesso insegnamento.
Il primo punto esprime il desiderio del docente di approfondire costantemente, insieme ad altri, le ragioni della propria scelta professionale che è anche una scelta vocazionale. Non si è in cattedra come individui isolati perché, in quanto persone che trasmettono una cultura, non si è mai soli o tali non si dovrebbe essere. La scelta vocazionale deve essere curata, anche nel presente, e non lasciata nel dimenticatoio, come se fosse un errore di gioventù. Sulla memoria della scelta vocazionale si fonda anche la responsabilità che l’insegnante si assume nei confronti della scuola, intesa come collettività determinata da obiettivi, compiti e decisioni.
Il secondo punto riguarda la professionalità del docente nella sua dimensione di ordine intellettuale: all’insegnante la comunità affida il compito di chiarire agli alunni, nel rispetto delle fasi della loro evoluzione, l’importanza degli elementi che fondano l’esistenza della stessa realtà sociale, che devono essere continuamente ri-conosciuti e, come i linguaggi di un popolo, appresi nel loro aspetto formale e significativo. In caso contrario non sono compresi, ma solo percepiti. A questo livello si giocano tutta la libertà interpretativa del docente e quel ruolo, ostacolato dal legalismo imperante, di testimone adulto di un percorso nella realtà che è più ricca delle formule didattiche.
Infine i risultati, che devono essere considerati come decisivo anche se non unico indicatore per la valutazione della professionalità dell’insegnante. Quali esiti? Anzitutto, quelli valutabili dalla coscienza stessa del docente; ma anche quelli apertamente riconoscibili come differenza, nel livello delle conoscenze e competenze degli alunni, tra l’inizio di una fase formativa e la sua conclusione. Non devono essere temuti, questi risultati, purché il metodo della rilevazione rispetti sia la personalità del docente, e il suo lavoro nella classe, sia la personalità dell’allievo che non è una macchina da addestrare, ma una persona che matura e cresce perché è messo in moto il suo desiderio di sapere.
Tutto questo è per noi il lavoro di qualità che nella sintesi delle varie componenti del compito educativo, salva la fisionomia di una identità docente.