lunedì 24 ottobre 2011

CONVENTION SCUOLA DIESSE 2011

La Convention Scuola di Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica) svoltasi a Bologna (800 presenze) ha presentato un programma vario e articolato, tutto incentrato sul tema dell’insegnamento come comunicazione di un modo di guardare la realtà che implica la persona stessa dell’insegnante. Non è la prima volta che Diesse interviene con questo taglio culturale sulle problematiche relative all’ambito scolastico visto come luogo di trasmissione di conoscenze vive, continuamente testimoniate dall’entusiasmo del docente che si trasforma in interesse e desiderio di apprendere dell’alunno. In questo senso Diesse, un’opera di insegnanti costruita e realizzata per altri insegnanti, si propone al mondo della scuola come sostegno alla figura del docente, il cui profilo professionale non può essere separato dalla scelta vocazionale che ha comportato la scelta di questo tipo di lavoro. La Convention ha rappresentato emblematicamente questa sintesi nelle sue diverse sequenze. Anzitutto, le Botteghe dell’Insegnare: 15 luoghi di elaborazione didattico/culturale su argomenti disciplinari (dalla matematica al latino), metodologici (dalla valutazione alla valenza formativa del lavoro) e organizzativi (dalla governance della scuola alla progettazione), che hanno reso visibile lo strutturarsi di Diesse in comunità professionali di verifica e paragone reciproco tra persone impegnate nella sfida educativa. L’adesione sincera dei partecipanti al metodo delle Botteghe (un oggetto didattico da esplorare, una ipotesi di lettura, uno scambio di posizioni) dice di un modo nuovo di rapportarsi dell’insegnante al proprio lavoro, in cui la compagnia tra docenti diventa tangibile perché l’unità è già in essere nella persona dell’adulto che accompagna i più giovani nel cammino della conoscenza. Posizione, quest’ultima, molto bene illustrata nella relazione di apertura della Convention dal prof. Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e docente di statistica) che ha insistito sulla necessità di passare da un insegnamento inteso come addestramento ad un rapporto tra docente e alunno fondato sul desiderio di comunicare e sul desiderio di apprendere. Emerge dal complesso dell’assise di Diesse l’idea di una sfida rivolta al mondo della scuola, a chi vi opera e a tutti coloro che dall’esterno detengono in qualche modo le chiavi della sua modificazione. Il confronto deve avvenire, oggi, non solo su ciò che la scuola in modo autoreferenziale pensa di sé, ma su un compito che la scuola, tramite gli insegnanti, deve assumere di fronte alla società: quello di aiutare gli alunni ad esprimere il massimo di competenza e creatività possibile tramite i percorsi di istruzione e formazione. Affinché ciò sia possibile l’istruzione deve diventare una nuova priorità per il Paese sia in termini di investimento sulle strutture, sia in termini di valorizzazione della funzione docente, la cui fisionomia professionale deve essere liberalizzata nelle modalità del suo impiego e del reclutamento.

domenica 11 settembre 2011

In cattedra, poggiando su un pieno

di Gianni Mereghetti

01/09/2011 - Un insegnante racconta come dopo l'estate ritorna tra le mura di una scuola traballante e piena di problemi: «Con una passione nuova che nasce da una domanda: “Ma io, chi sono?”»

Un nuovo anno è alle porte, la scuola è sempre più alla deriva, le promesse di razionalizzazione si stanno lentamente rivelando quali erano, il goffo tentativo di chiudere gli occhi di fronte ai problemi, augurandosi che si risolvano da soli. È una scuola che procede come un moloch senza scrupoli: l’importante è che il meccanismo funzioni, non importa chi ne fa parte, chi lo manovra. Questa è la scuola oggi, un tapis roulant su cui camminare seguendo un ritmo meccanico, prestabilito, una scuola in cui l’umano non c’entra, non deve c’entrare. Torno in una scuola così, una scuola dove tutto è contro di me, e sottile è la pressione affinché mi rassegni a stare ai suoi meccanismi, a obbedire alle sue regole, a infilarmi nei suoi progetti. In una scuola così io ci torno con una passione nuova, porto con me qualcosa di più e più forte del potere che fa di tutto per impedire che l’educazione sia un cammino.
È l’esperienza questo qualcosa di più, i legami di questi anni di insegnamento in cui al centro c’è sempre stata la vita e il suo senso, ancor di più è il cuore, la tensione al bello e al vero che oggi percepisco presente a me, la consapevolezza che un’ora di lezione c’entri con il mio destino. Ricomincio la scuola con una marcia in più, so da dove partire e dove andare, questo è il vantaggio che ho e che devo decidere io se utilizzare o no. Questo vantaggio è la memoria di una domanda che c’è all’inizio del mio insegnamento, e che sempre lo ha segnato. È la domanda che mi ha scosso nel lontano 1977: da giovane insegnante, ho avvertito uno choc quando don Luigi Giussani, dopo tanti nostri interventi confusi e incerti, ci provocò dicendo che la prima domanda con cui uno entra in classe non è “che fare?” ma “io chi sono?”. È la domanda che oggi torna, la sfida da cui inizio l’avventura di quest’anno, certo che il mio io viene prima dei problemi che sono chiamato ad affrontare, il mio io è pieno dello sguardo con cui il Mistero oggi mi costituisce e apre il mio cuore alla realtà, ai miei colleghi, ai miei studenti.
La scuola traballa, ma io poggio su un pieno. Non viene dalla scuola, è il mio cuore pieno di ciò che vi corrisponde e questo mi fa guardare al nuovo anno con una positività altrimenti impossibile. È la positività di chi sa che insegnare è mettere a tema la vita e il suo destino, che entrare in classe è portare lo sguardo di simpatia che si è incontrato per sé e che sa rivolgersi alla libertà di ognuno degli studenti che si ha di fronte.
È questo il nuovo inizio, un io pieno di certezza, pronto a sfidare ogni situazione, e con questo è il fascino di un’avventura che domina la ripresa della scuola, non il peso dei pur tanti problemi che ci sono. Così ricominciare ha dentro una promessa, che l’umano plasmi i tanti tentativi di cui ogni giornata di scuola è piena, tentativi “ironici” tesi a snidare l’umano. La scuola solo così può diventare viva e occasione per la conoscenza