lunedì 11 ottobre 2010

D'Avenia su scuola e giovani

tratto da una intervista di Tracce:
D'AVENIA Io, don Puglisi e la sfida del Papa a Palermo
di Giuseppe Di Fazio
11/10/2010 - Dopo la visita del Papa a Palermo, lo scrittore e prof palermitano Alessandro D'Avenia interviene sul quotidiano "La Sicilia". Dalla questione giovanile alla crisi della scuola
Alessandro D'Avenia

Il suo primo romanzo (Bianca come il latte, rossa come il sangue) è risultato un best seller, che l’ha portato a divenire un autore di riferimento della «letteratura adolescenziale». Ma Alessandro D’Avenia, 33 anni, palermitano, una laurea in lettere classiche e un mestiere di insegnante praticato in un liceo milanese, non è un nuovo Moccia. Nella sua scrittura ci sono la passione educativa di un prof e le domande «dense» dei suoi allievi. E c’è anche l’esperienza dell’intellettuale emigrato con la nostalgia della propria terra e quella dello studente che a Palermo ebbe un prof di religione sui generis: don Pino Puglisi (il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993). D’Avenia interviene nel dibattito sulle nuove generazioni aperto dal nostro giornale, prendendo spunto dall’incontro fra Benedetto XVI e i giovani siciliani. «Il richiamo del Papa a Palermo - dice - spinge i ragazzi a cercare una vita grande, piena di senso. La crisi, infatti, è crisi di significato». Ma spesso i giovani non ne hanno colpa. I loro insegnanti o i loro genitori difficilmente riescono ad essere maestri di vita e a prendere sul serio le domande più profonde che vengono dai ragazzi, che, in questo modo, finiscono per rifugiarsi nell’ideale di una vita comoda.

Professore, l’apatia dei giovani è divenuta - per dirla con Pietro Barcellona - una vera e propria malattia sociale. Tutto il contesto (scuola, università, mass media) sembra congiurare per ridurre o addormentare il cuore dei ragazzi e le loro domande più profonde. Qual è radice di questa realtà?
L’apatia dei giovani è l’apatia degli adulti. Diceva Chesterton che «l’evoluzione è ciò che avviene quando dormiamo, la rivoluzione quando siamo svegli». L’uomo è uno spirito in carne e ossa. Lo spirito oggi è invitato a dormire, a lasciarsi andare ad una dolce anestesia interrotta periodicamente da dolorosi risvegli: insoddisfazione, frustrazione, paura, smarrimento. I ragazzi non trovano maestri capaci di svegliare il loro spirito. La crisi dei ragazzi è la crisi della cultura che li ha generati. Una cultura dominata dal relativismo, che è privare la realtà delle differenze, genera indifferenti. Il relativismo banchetta con la testa e il cuore dei ragazzi. La sfida è rendere i ragazzi “cuori pensanti”, riconciliando la verità con la vita di tutti i giorni.

Come docente, qual è il suo rapporto con gli studenti? A cosa tiene di più nel rapporto con i giovani?
Imparo da loro e loro da me. Diceva Confucio: «Se percorrerò la strada con altri due uomini, almeno uno di loro sarà il mio maestro». La scuola è una relazione vitale, di continuo scambio: se non imparo, vuol dire che non sto insegnando. Ciò a cui tengo di più è la libertà. Insegnare è educare ad essere liberi. Sta crollando su sé stesso il mito della libertà assoluta: fare ciò che voglio purché non leda la libertà altrui. Non basta. Il segreto della libertà è essere impegnata per qualcosa e qualcuno. Quando il mio professore di lettere, Mario Franchina, mi prestò la sua edizione del poeta che preferiva, dicendomi: «Questo tu lo puoi capire», faceva scaturire la responsabilità dall’interno della libertà. Mi aiutava a vedere una mia qualità ancora tenue e la incoraggiava riponendo in essa una fiducia maggiore di quello che in quel momento valeva. Quel gesto mi obbligò senza obbligarmi a mettermi in gioco. Faceva nascere la libertà di impegnarmi da un surplus di fiducia, che nello stesso atto mi comprendeva e mi lanciava nel futuro. La libertà è parola che viene dal latino: liberus, che vuol dire figlio. Se mi rapporto ai miei alunni come un padre allora cominciano ad essere liberi, cerco di mettermi al servizio di ciò che hanno di più intimo, per preservarlo, incoraggiarlo, li aiuto a diventare sé stessi nel massacro di identità odierno.

Il professore nella scuola di oggi è divenuto un burocrate. Perché ci sono sempre meno educatori e maestri?
Fare il professore è una vocazione. Diventa burocrate solo chi non ha questa vocazione. Ci sono molti più maestri di quel che crede, ma nessuno li racconta.